Il Signore dell’Autodromo di Monza – Capitolo 1

Mario Acquati: dalle corse al Book & Art Shop

Per alcuni è ancora “il Maestro”: quando glielo dico, Mario Acquati si schermisce, ma sorride. No, ma quale “Maestro” lui? Tutto per via della libreria che aveva aperto, tanti anni fa, all’Autodromo di Monza!
L’Autodromo, già. Quel colosso, lui l’ha visto crescere… anzi, in un certo senso – lui e l’Autodromo – sono cresciuti di pari passo.
– Quindi tutto è iniziato con la libreria, giusto?

 

 

Acquati scuote il capo. Non è vero che tutto è iniziato con la libreria. Come non è vero che nella vita si è occupato solo di libri. Non ci metterò molto a capire che l’uomo che mi sta davanti è innanzitutto una persona dalla vitalità dirompente. Un eclettico poliedrico e armato al tempo stesso da solida concretezza, che è riuscito non solo a seminare, ma anche a coltivare e far crescere progetti in ambiti diversi. Altro che topo di libreria!

 

 

– Ricapitolando: la libreria è arrivata dopo. Ma dopo cosa? Com’è iniziata, la sua attività?
– Bè, dipende quanto vuole andare indietro nel tempo. Se vogliamo risalire proprio agli inizi, prima di tutto è venuta la passione per le automobili.
– Già. E’ stato anche pilota, lei…
– Sì, le macchine erano la mia passione. Ai tempi avevo la stanza tappezzata di cambiali perché mio padre non mi dava i soldi per correre.
– Com’è stata la sua prima volta?
– Ah, ora le racconto. Sono andato a Poggio di Berceto, vicino a Parma. Siccome ero molto agitato, mi ero anche bevuto due cognacchini di quelli mignon che una volta vendevano sull’autostrada… E niente, è finita che ad un certo punto mi sono cappottato. L’auto era una Abarth 850 e siccome, ai tempi, il mio idolo era Marzotto, ricordo che non mi ero messo la tuta, ma la giacca con il gilet sotto. Per correre avevo tolto la giacca e tenuto il gilet.

 

 

– E come è iniziata, la passione per le macchine? Mi pare di capire che suo padre non fosse poi così d’accordo.
– No, infatti. Ho iniziato ad appassionarmi verso i diciott’anni. Ho corso tanto… con le Abarth, nella Formula Tre, per la NSU… una volta c’era il Mobil Economy Run che era una gara al minor consumo nata negli USA nel ’36 e poi lanciata anche in Europa. Le auto in gara correvano su un percorso stradale di 700, 800, 900 chilometri e dovevano consumare meno benzina possibile. Funzionava come lancio delle vetture lungo un percorso prestabilito che – nella versione italiana della gara – andava da Milano a Napoli. La particolarità, qui da noi, è che i piloti erano tutti giornalisti. Col tempo, poi, la gara su strada è stata vietata perché era diventata davvero pericolosa. Per consumare poco, infatti, le auto non si fermavano ai semafori… a volte si passava col rosso, o si saliva addirittura sul marciapiede.
– Per via del consumo di benzina?

 

 

– Bè, sì. Se ci si fermava non si facevano chilometri… fatto sta che alla fine la gara è stata abolita. O meglio: più che abolita, è stata spostata a Monza, sulla sopraelevata. Per correre sulla sopraelevata, però, serviva una licenza apposita: una sorta di abilitazione che i giornalisti non avevano. Per ottenerla era necessario sostenere un esame. Così sono ricorsi a dei piloti veri e propri. L’ NSU mi ha chiamato e io ho partecipato in coppia con Gianpiero Moretti. Con quella NSU siamo arrivati primi percorrendo il tragitto ideale Milano Napoli. Abbiamo consumato circa 23 litri di benzina a 80 chilometri all’ora.

 

 

– Insomma, la passione per le auto è qualcosa che è nato con lei. Ma la sua attività? Mi ha già spiazzato dicendomi che non è iniziato tutto con la libreria.
Mario Acquati sorride. Nel giro di poco ho già capito che la sua vita è come un castello: non di carte ma di scatole cinesi, ognuna delle quali nasconde mondi.
– No. E’ cominciato tutto con i volanti. Ha presente Gianpiero Moretti?
– Altroché: il fondatore della MOMO, Moretti-Monza.
Mario Acquati annuisce.
– Il fondatore della MOMO, che però non stava per Moretti-Monza. Ora le racconto una storia. E’ iniziato tutto con l’idea dei volanti – erano così particolari, anche per il colore. A un certo punto, è stato Moretti a dirmi: “Guarda Mario, qui c’è del business. Cosa facciamo?” E io: “Mettiamo su una società!” Suo padre gli ha dato i soldi, il mio no. Capirà… Una società di due persone in cui uno ha i soldi e l’altro no, finisce il giorno dopo. Alla fine, quindi, ha rilevato tutto lui.

 

 

– E il nome?
– Già, il nome. Io, a Verona, avevo un socio che si chiamava Ettore Moraia. Moretti aveva bisogno di lui perché gli mancava completamente la preparazione tecnica, così ha dato inizio a questa società chiamandola MOMO, che allora stava per Moretti + Moraia. Era il ’66-7. Lo slittamento del nome a Moretti-Monza è venuto dopo.
Ecco, le origini dell’attività commerciale di Mario Acquati sono da rintracciare proprio lì. Nella nascita di un negozio creato sulla scia delle esigenze, dei gusti e delle energie che ruotavano intorno all’Autodromo e alla sua rapida crescita. Creare un business a partire da un mito – la passione per il mondo delle auto e delle corse – è un’intuizione che sconfina col colpo di genio. Tutto sta nell’indovinare l’esistenza di una nicchia ancora vergine… e nella capacità di occupare quella nicchia con spirito pionieristico.

 

 

Ai tempi, peraltro, il paesaggio che sorgeva intorno all’Autodromo, doveva essere qualcosa di molto simile al Far West. Il nulla assoluto. Una pagina bianca da reinventare e da interpretare. Idem per quanto riguarda il business legato al mondo delle auto. Nessuno, in Italia, si era mai inventato nulla di simile.
– E cosa vendeva il negozio, volanti a parte?
– Era un Book & Art Shop che vendeva tutto ciò che riguardava il mondo dei motori… Sa, deve pensare che quello era il primo negozio in Italia che vendeva cose simili. Io ero stato a Le Mans e là tutto questo c’era già, ma non qui. C’era solo l’Autodromo, che però non aveva niente a che vedere con quello di oggi.

 

A cura di International Classic, scritto da Martina Fragale

 

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