Marcello Gandini: Il designer del futuro – Capitolo 3

– Colpisce la sicurezza del tratto nei suoi disegni. Lei è una persona, come ho potuto cogliere, sempre molto gentile, riservata, calma, ponderata… ma le vetture che lei ha creato rispecchiano anche altro: innovazione, forza, grinta, potenza. Da una parte c’è una componente di gentilezza e mitezza, da quell’altra viene da pensare quante ne ha passate? Di lotte, di unghie, di competizioni?

– Francamente devo ammettere che non ho avuto una vita difficile. Chiaramente ci sono in una vita dei momenti difficili. Quando avevo 25 anni ero disperato, per esempio, perché non riuscivo a sbarcare il lunario.

 

Mentre dopo quando era più affermato, con i suoi colleghi o competitori? Ci sono stati degli interlocutori poco gradevoli? Gente con gli artigli?

– Qualcosina sì, però fa ridere in confronto a quello che succede nel mondo. Sì, ho avuto qualche problema sul lavoro, soprattutto perché non volevano pagarmi… ma ci sono cose più sgradevoli nella vita. Problemi veri, non ne ho mai avuti.

Con i committenti?

Devo dire che è andato tutto piuttosto liscio. Anche se non mancano mai problemi. Anche con De Tomaso Alejandro, io spezzo sempre una lancia a suo favore, anche se ha avuto una pessima fama di “mal pagatore”. De Tomaso mi ha corteggiato per tanti anni perché l’ho conosciuto quando era appena arrivato in Italia, aveva l’ambizione di fare le auto da corsa e non aveva una lira. Arrivò a Modena, chiese quale fosse il miglior albergo della città, gli risposero il Canal Grande e lui ci si insediò. Dopo un certo periodo l’albergo esigeva il saldo del conto, che lui non era in grado di pagare, quindi lo cacciarono con qualche nomignolo. Quando ebbe la possibilità finanziaria cosa fece? Comprò il Canal Grande, questo fatto mi ha sempre divertito molto.

De Tomaso Pantera (Credit Tim Scott)

– Personalmente non accettavo le sue proposte, non tanto per la fama, ma perché ero soddisfatto di quello che stavo facendo. Quando ero in proprio già da qualche anno, tornò alla carica… Perego, un suo collaboratore, uno incredibile, molto competente e paziente, fece da tramite e mi convinse per una prima collaborazione. De Tommaso mi ha sempre trattato come se fossi un principe, mi pagavano le cose ancora prima che le facessi per convincermi meglio. Si offese con me una sola volta perché lui faceva una riunione al Canal Grande, alla fine di ogni anno, con giornalisti e collaboratori e si sarebbero fermati a dormire in albergo. Alla serata partecipai, ma andai a dormire al Fini. Lui lo seppe e si offese da morire, ma aumentò la considerazione nei miei confronti. Nel senso che non ero un approfittatore. La libertà non ha prezzo.

De Tomaso Pantera (Credit Tim Scott)

– Prima ho sentito parlare di Guzzi V7 Sport

– Guzzi V7 Sport avevo fatto dei disegnini con il telaio rosso… Beh si con le moto qualcosa ho fatto: ho iniziato a guidarle dall’età di 14 anni e poi qualche progetto l’ho fatto. Con l’Innocenti, quando c’erano ancora gli Innocenti, avevo fatto delle cose, qualche Lambretta, il Lui…

– Il Lui mi piace tantissimo.

– L’idea era quella di fare qualcosa di piccolo e un po’ innovativo per l’epoca!

 

Moto Guzzi V7 Essetre Sony A7 Minolta MD Rokkor 100mm f/2.5

Sarà la magia del luogo e delle persone che ci consente di percepire uno stato di armonia generale. Mentre ci stiamo gustando un gelato maison squisito penso a Marcello Gandini che sfreccia a tutto gas con la sua moto.

 

– Me la stavo immaginando in giro con la V7, una moto che ancora oggi ha delle prestazioni notevoli.

– Mia moglie ed io abbiamo fatto il giro delle Dolomiti con la Guzzi V7. Avevamo sette maglie, perché noi non abbiamo mai avuto le attrezzature adatte per le varie attività… faceva un freddo cane, anche se era estate, e poi man mano ci spogliavamo… senza casco, senza niente, erano altri tempi e noi eravamo giovani.

1971 MOTO GUZZI V7 Sport 749 cm3

– E la Moto Guzzi Superalce 500CC Carabiniere, se la ricorda?

– Era divertente! Mi ricordo che ero un ragazzino, facevamo la gita domenicale con la famiglia, e passavano queste Guzzi o magari una BSA, con l’omino tutto basso basso. La sella era bassa per poter toccare con i piedi per terra, e dietro un donnone che lo dominava da sopra. Una scena da morire dal ridere. C’era la sella anche dietro, con le molle a vista, mi facevano molto ridere questi poveretti con dietro queste signore che, a memoria di un ragazzino, erano sempre molto abbondanti.

– Lei si definisce un artista, come suo padre o suo fratello?

– No, rifiuto questa cosa. Fermo restando il fatto che non considero l’automobile un’opera d’arte.

– Non considera l’auto un’opera d’arte?

– Personalmente no, però ha in comune con l’arte quella di generare emozioni, come si diceva prima sulla bellezza. A mio avviso, in ogni caso, è una cosa molto diversa. Ha qualche parentela con la scultura. Le automobili hanno le stesse esigenze di una scultura, quella di dare delle emozioni e poi il fatto di essere tridimensionale. Anche la scultura, se lei prende, il David e gli gira intorno, ha la sensazione di un qualcosa di vivo, di una persona.

– Di conseguenza Lei non considera le sue creazioni delle opere d’arte.

– No, ma…

Marcello Gandini, fotografia di Angelo Rosa

Dopo una pausa di riflessione, Marcello Gandini continua.

 

– Ma… se guardo la Stratòs e la guardo da diverse angolazioni, non resto immobile mi muovo in un certo modo intorno all’auto, c’è una sorta di scambio tra chi guarda e la vettura. Si possono avere sensazioni diverse per la stessa cosa. Questo rapporto, per esempio, su certe automobili, devo ammettere che esiste. Può essere una considerazione che effettivamente esiste.

– Ha trascorso 14 anni con Bertone, in che cosa vi siete influenzati?
– Avevamo due ruoli ben separati: Nuccio Bertone faceva l’industriale, ed era bravo a fare il suo mestiere. Le automobili dovevo farle io e devo dire che lui non si intrometteva mai.
Mi diceva “che cosa facciamo per il prossimo Salone di Ginevra?”, il più delle volte ero io che mi impegnavo per vedere cosa fare. La sua esigenza era quelle di presentare ogni anno qualcosa di nuovo, specialmente a Ginevra. Lui voleva sempre qualcosa di innovativo e su ”cosa e come” era il mio mestiere. Due ruoli separati e indipendenti, infatti, non abbiamo mai avuto problemi.

– Libertà totale.

– Assolutamente sì. Facevo quello che volevo. Molte volte non sapeva neppure cosa stessi facendo. Cercavamo di fare del nostro meglio nei nostri rispettivi ruoli.

– Possiede una delle sue creazioni?

– Ho avuto delle vetture di serie, BMW, Mini… quando hanno smesso di produrre la Countach – la Lamborghini doveva fermare la produzione perché non era più omologabile – me ne offrirono una. Ho pensato a lungo e poi ho risposto “grazie, molto gentili, ma poi mi tocca togliere la polvere! Mi occupa dello spazio che mi serve per altre cose”. Andare in giro con la Lamborghini deve essere anche piacevole… da giovane, ma alla mia età non mi ci vedo. Rimasero un po’ sconcertati dalla mia scelta.

lamborghini countach

– Esagonite acuta? L’esagono, il cuneo, quale l’origine?

– Quando si faceva una macchina, ci volevano degli elementi caratteristici, innovativi, diversi da quello che si era già visto. Decisi per gli esagoni, prima sulla Lamborghini Miura, poi esagoni di tipo diversi sulla Marzal, sia sul lunotto che in altre parti all’interno. Era uno degli elementi caratteristici che avevo proposto. Il problema era che bisognava fare una griglia dove passasse l’aria, si doveva anche vedere attraverso, ma che non alterasse la forma della vettura. La griglia fatta con l’esagono era una valida alternativa a quella fatta con i rettangoli, che esisteva già come quella con le bacchette parallele e allora per non fare le stesse cose… la funzione era la stessa, dovevo solo disegnarla diversamente.

– Si è differenziato in più dettagli.

– Le portiere a forbice, introdotte con la Alfa Romeo Carabo e poi adottate dalla Countach, le feci perché davano una sensazione diversa… con molte titubanze, perché non ritenevo una cosa logica le porte fatte così. Come responsabile della costruzione dei prototipi, dovetti studiare qualcosa. Avevo il problema, che mi facevo solo io, che se una macchina si fosse ribaltata, il pilota e il conducente non sarebbero più usciti. Allora avevo studiato un artificio: erano delle porte a forbice fissate con dei coni, erano bloccate da una levetta che sganciava la porta nel caso di cappottamento. La portiera veniva espulsa, quindi i passeggeri potevano uscire. Per il secondo prototipo ci avevo lavorato veramente un mucchio per mettere a punto la porta sganciabile e poi la casa madre mi disse “ma no”, non l’ha voluta. Poi ci sono state tantissime imitazioni e tutte quante in caso di ribaltamento non si esce più.

Alfa Romeo Carabo

– Abbiamo parlato della griglia a cuneo, delle portiere a forbice, mi viene in mente il geniale passaruota posteriore della Countach… in ogni caso, quale esercizio di stile le ha dato maggiore soddisfazione?

– Non trovo che siano idee grandiose, non ho inventato la penicillina, sono delle ideuzze che mi sono venute. Uno che non costruisce mai prototipi, che non disegna vetture, non può avere quelle idee lì. Ma se uno le fa abitualmente, come ho fatto per tot anni, ogni tanto qualche ideuzza, anche minima, può venire. Allora, quando si doveva preparare il prototipo per i Saloni, si cercava qualcosa di un po’ diverso, di nuovo o apparentemente o superficialmente nuovo. E queste ideuzze, garantisco, vengono. Ho fatto tante altre cose e tutte a mio avviso sono ideuzze… non salva nessun bambino, proprio niente.

1974 Lamborghini Countach

– Uno dei pochi nomi, per Lamborghini, che si allontana dal mondo dei tori: Countàch.

– È un intercalare piemontese che letteralmente vuol dire “contagio, peste”, intesa come “dannazione”. Un operaio ogni tre parole diceva Countàch! Aver tirato fuori questo nome nasce da uno spirito di gruppo… e in quella notte, c’era anche Bob Wallace, abbiamo detto chiamiamola Countàch. Quando si lavora di notte, anzi più notti consecutive, si crea uno spirito di fronda, un modo di ricompensarsi dalla fatica notturna, si ride un po’. Countàch non è una bella parola, ma viene usata anche come affermazione di ammirazione, sorpresa, stupore… “Perbacco”!

– Come si chiamava il suo collaboratore che diceva sempre Countàch, un’affermazione curiosa che è divenuta famosissima.

– Sì, questo veniva direttamente dalla vita, dalla quotidianità. Il signor Renaudo, Teresio di nome, era alto più o meno due metri, con due mani molto grandi e faceva le minuterie, i lavori dei piccoli dettagli come le serrature. Se n’è andato giovanissimo, era un uomo molto simpatico… Con me è andato sempre molto d’accordo, anche se era un uomo molto particolare e parlava solo in piemontese.

Continua a leggere l’intervista Capitolo 4 

A cura di International Classic