Il Gentleman dei motori: Maserati, Ferrari, Lamborghini – 3

Autofficina Sauro

Autofficina Sauro, i motori fra le mani

Certo, qualcuno direbbe che quello del restauro è un business ma è ovvio che Rizzoli non la pensa così. La sua officina parla chiaro, così come parla chiaro la passione delicata e meditativa con cui le sue mani “parlano” ai motori. Nel tocco di Luciano Rizzoli c’è il senso di un passato che torna in vita, così come i ricordi.

Mentre lavora – mi confessa – spesso e volentieri penso ad altro. Non sempre, ovvio. “Quando fai la fasatura devi essere concentratissimo. Non ti devono neanche chiamare al telefono. In altri casi, però, penso alle cose di casa: la bolletta della luce, la spesa… non ho più nessuno ad aspettarmi. Ci siamo io e un gatto che non è neanche mio ma del condominio. Me lo sono trovato un giorno che raschiava la tapparella per entrare. Come si chiama? Non lo chiamo, o meglio: l’ho chiamato Gatto. Ci sono giorni, poi, in cui di gatti ne ho tre: quel disgraziato invita pure gli amici a pranzo!”. Ride e mi mostra foto e motori, motori e foto.

Racconta di quando lo hanno chiamato – dalla sua vecchia scuola, l’Istituto Tecnico Aldini Valeriani – e così, a sorpresa, gli hanno consegnato un diploma d’onore. Tutto questo dopo aver letto – pubblicamente – una delle sue pagelle. “Mi vergognavo da morire. Ho detto alla signora che mi ha dato il diploma che non pensavo di meritarmelo. E lei sa cosa mi ha risposto? ‘Ma non è mica per quando veniva a scuola, che le diamo il diploma. Questo è per quello che ha fatto più tardi: per il doposcuola”.

Poi ci mostra delle fotocopie conservate in una carpetta.

Spiega che gli originali li aveva un suo carissimo amico che ora non c’è più, uno dei meccanici che ha ricevuto la parte… e mi racconta una storia – una bella storia – che risale al periodo dei “Gentleman Driver”: i primissimi pionieri che dopo aver corso la cavallina (del tutto fuor di metafora, materialmente a bordo del loro cocchio) avevano iniziato ad avventurarsi nel mondo delle auto, abbandonando la carrozza per le prime macchine da corsa. Erano tutti nobili o comunque di ottima famiglia – mi racconta Rizzoli – e tra loro c’era anche un nobile biellese: il conte Carlo Felice Trossi, che correva per Maserati. Quando Trossi vinse il Gran Premio, nel ’37, rifiutò di tenersi per sé le 3000 Lire della vittoria e le divise fra tutti i dipendenti della Maserati. Un vero gentiluomo! Rizzoli ne parla con emozione.

 

 

Ciò che lo lega alle auto d’epoca, forse, è anche questo: il legame col passato – sì – ma non solo. Perché l’uomo che ho davanti – questo signore pacato che ha “quattro volte vent’anni”- in fondo è anche lui un gentleman: un gentiluomo semplice. E questo emerge da ogni aspetto della sua personalità.

 

 

– Mi dica: con una passione come la sua, immagino che un’ auto d’epoca ce l’abbia anche lei…

Rizzoli annuisce sorridendo.

– Sì, la mia vecchiaccia ce l’ho. In realtà non è la mia macchina preferita, ma non la voleva nessuno, così mi sono detto: “Vado a casa a far due conti con mia moglie e poi vedo”.

Nel ’73 il governo aveva messo in atto la restrizione per l’uso delle autovetture, per far fronte alla crisi energetica, così siamo riusciti a comprare due autovetture davvero a poco. Praticamente te le tiravano dietro: una Ferrari 365 GT 2+2 Altair (secondo me, una delle più belle macchine che ha fatto Pinin Farina) e una Daytona. Quest’ultima era andata alle stelle e poi era finita nelle stalle… adesso è ritornata in auge, però io l’avevo lasciata al mio socio. Invece la mia 365 Altair ce l’ho ancora a casa con il suo alimentatore alla batteria.

 

 

Giro la chiave e parte subito!, bollata e assicurata. Il sabato pomeriggio o la domenica mattina, vado a farmi il mio giretto su per le colline bolognesi e poi la rimetto dentro. È una gran bella macchina da guidare: ha tutto, anche l’idroguida. Si usa come una Mercedes, però con il suono del 12! Tutti me la chiedono perché sanno che è quasi nuova. Nessuno ha toccato niente: anche il colore è tutto originale, bronzo oro con interno champagne.

Accarezza il motore che ha davanti, come se fosse un gatto e si vede che sta pensando ad altro.

 

– I motori, li conosceva già quando venivano venduti. Oggi che se li ritrova sottomano per il restauro, per lei in fondo deve essere un ritorno…

– Infatti, a me non sembra di invecchiare mai. Nel senso che prima facevo il servizio assistenza. Oggi il restauro viene fatto sulle stesse auto di ieri.

– E come funziona il restauro di un motore?

Rizzoli mi indica il motore di una Ferrari 342 America che ha davanti, smontato e diviso su tre ripiani.

– Vede questo motore? Viene dagli Stati Uniti: me lo hanno mandato smontato così. Ora devo guardare quello che manca e quello che c’è, se va bene o no. Poi si fa l’assemblaggio e infine si va in sala prove.

 

 

– In genere preferisce smontarli lei i motori?

– No, tanto li conosco. Ho anche una specie di biblioteca con tutti i dati tecnici, in realtà: con foto e schemi dei motori su cui ho lavorato negli anni. Ma non c’è tutto.

– Quando lavora su un motore, le capita mai di aggiungere qualcosa?

– No, mai. Sono contro alle persone che dicono “Ah, questo adesso lo modifico e lo cambio!”. Io voglio che il pezzo che restauro sia conforme all’originalità di quanto è stato costruito. Ho sempre detto (e lo ripeto) che non invento niente: rispetto ciò che il progettista ha fatto.

 

 

Tante volte i pezzi non si trovano e bisogna rifarli, mettersi lì e trovare una foto, un disegno e ricostruirlo… cosa che poi è tutt’altro che facile. Oggi, tra l’altro, molti vogliono la certificazione, la Ferrari va proprio a controllare anche i minimi particolari: in questi casi ovviamente, non se ne parla proprio di apportare delle modifiche. Se mancasse un pezzo di ricambio bisogna rifabbricarlo, non c’è problema, ma il pezzo deve essere conforme. Per principio, non solo non ci si può discostare dall’originale, ma bisogna anche togliere ciò che eventualmente altri hanno aggiunto.

– Come fa a distinguere gli elementi che sono stati aggiunti?

– Con la documentazione, certo, ma anche con tanta memoria.

La memoria, già. Il misterioso filo rosso che cuce passato e presente tracciandone faticosamente la continuità. E’ questo che in fondo cerca, l’arte del restauro ed è così che dentro di me vedo il restauratore, meccanico o battilastra che sia: come un equilibrista, in costante bilico fra due mondi. La domanda che faccio a Rizzoli, la medito dall’inizio della nostra conversazione e verte proprio su questo concetto.

– Qual è la principale differenza fra oggi e ieri, nel suo lavoro?

– Mah, sa, di differenze ce ne sono diverse. Una riguarda il modo di porsi. Il mio lavoro, lo sto insegnando sia a mio figlio Francesco e a Marco, un altro ragazzo che lavora con me da circa trentasei anni.

Quando ero giovane io e il motorista si allontanava, si toglieva il grembiule e copriva il suo motore. Capisce? C’era il segreto, una specie di gelosia. Ecco, questo negli anni è cambiato. Io adesso sono contento quando ho qualcuno intorno che viene ad aiutarmi. Gli mostro il mio lavoro e intanto parliamo. Lo trovo formativo… è così che nell’altro nasce la curiosità, che poi è quella che ti insegna a lavorare.

– Immagino però che le differenze principali tra ieri e oggi, siano altre. O no?

– Sì, lo spartiacque principale è l’approccio alla manualità: qualcosa che tende a non esserci più. Oggi quando ti arriva il cliente che ha un problema, si attaccano due spine e un computer ti dice cosa devi fare… va benissimo, per carità, ma quello che è guasto non lo riparano: lo prendono, lo buttano via e lo sostituiscono.

– Questo significa che il suo è un lavoro che andrà scomparendo?

– No, anzi… di lavoro in questo settore ce ne sarà sempre di più. Certo, non si vedono molti giovani interessati a portarlo avanti ma io nel mio piccolo li sto formando.

Quando parla dei “suoi ragazzi”, Rizzoli s’illumina e sembra che in un certo senso li consideri un po’ tutti figli suoi. C’è chi, in effetti, lavora qui da trentasei anni.

 

 

– A volte qualcuno se ne va via e lo capisco ma un po’ – glielo confesso – ci rimango male. Per esempio, quando la Ferrari ha aperto una concessionaria in Marocco ha chiesto se uno dei nostri ragazzi poteva andare lì per alcuni mesi. Allora avevamo qui con noi un ragazzo che aveva i genitori marocchini… Si chiama Rachid, ma lo chiamavamo Raimondo, parlava il dialetto bolognese e mangiava le tagliatelle al prosciutto.

Gli abbiamo proposto di andare a Casablanca tre mesi e lui ha detto di sì. Niente, alla fine è rimasto lì. Ultimamente è venuto in visita in Italia ed è passato a trovarci. Mi ha ringraziato e mi ha abbracciato: “Luciano, grazie mille per l’opportunità che mi avete dato. Là mi hanno dato la macchina e la casa e sto benissimo”. Che vuole farci? Sono contento per lui, però mi dispiace averlo perso. Anche questa è una delle differenze tra oggi e ieri: prima i dipendenti tendevano a restare.

– Quanti ragazzi lavorano con lei, oggi?

– Chiara in ufficio, mentre in officina ci sono 7 ragazzi, 2 lavorano con me, al restauro, e uno fa il magazziniere: si chiama Raffaele, suona la chitarra e ha proprio la passione per la musica. Ha anche un complessino con cui va a suonare alla sera… Ha anche un’altra qualità, Raffaele: parla diverse lingue.

 

Mi indica un altro ragazzo, molto giovane.

– Ecco, lui invece è Gabriele: è qui per uno stage, ha 18 anni, si deve diplomare quest’anno. Pensi che erano appena iniziate le vacanze pasquali e lui, anziché starsene a casa tranquillo, mi fa: “Posso venire lo stesso?”. Ha la passione e poi ha di bello che sa subito quello che ti serve e te lo passa senza che tu debba star lì a chiederlo. È vero che a 18 anni uno di solito è sveglio di suo, però conta anche la passione. Altroché, se conta!

– Per lei i suoi dipendenti sono come dei figli, lo ammetta…

– Bè, sì. Sarà anche per il fatto che amo tanto questo posto e il mio lavoro.

– Cosa le piace del suo lavoro?

Rizzoli non risponde subito. Si prende il suo tempo, poi mi indica il motore arrivato dall’America.

– Il computer è il nuovo modo di lavorare… ma quando trovi il guasto, il pezzo non si ripara, lo butti e lo cambi. Costa di meno il ricambio nuovo che non il costo della mano d’opera a ripararlo. Imparare la manualità non è facile, a meno che non ti venga la curiosità. Non c’è più quell’abitudine ad ascoltare, quell’intuito e quel saper prestare attenzione alla voce del motore… non c’è più nel senso che oggi si va di elettronica. Al di là di questo, guardi… Come le dicevo, quel motore è arrivato dentro un cassone, tutto smontato. Quello che manca lo devi costruire, poi rimonti tutto e vai in sala prove… Ecco, è allora che succede il miracolo. Quando giri la chiave e senti il motore che piange, come un bambino appena nato… eh, allora sì che ti emozioni e non vedi l’ora di farne un altro!

 

A cura di International Classic, scritto da Martina Fragale

 

Leggi anche:
Il Gentleman dei motori – Capitolo 1
Il Gentleman dei motori – Capitolo 2

 

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