Mauro Forghieri – Capitolo 3

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Furia e la sua squadra

Diventare responsabile del reparto tecnico della Ferrari non è cosa facile, anche se sei sotto l’occhio vigile e l’ala protettiva di Enzo Ferrari in persona. Ma Forghieri ce la fa, nonostante l’inesperienza e la giovane età, forte di una straordinaria capacità assimilativa che va ben al di là del lato puramente tecnico e che ha a che vedere con qualcosa di più strutturale: la capacità di “fare il capo”. E di farlo bene. In questo senso, Forghieri parla di “lezioni” ricevute dalla vita. La prima, gli viene indirettamente impartita dal suo predecessore, Carlo Chiti.

 

 

– Chiti, era una brava persona ma era tremendamente accentratore. Grazie a lui ho imparato a non esserlo e quando sono diventato responsabile ho capito che la cosa migliore era mettere in campo autorevolezza – sì – ma anche sensibilità. La tendenza all’accentramento di Chiti, infatti, non permetteva ai giovani di sviluppare appieno le loro capacità, magari anche sbagliando. Ai tempi, sotto di lui, anch’io avevo pensato di andarmene.
La sensibilità verso i giovani, peraltro, acquisisce presto una valenza programmatica molto forte, che poco alla volta “svecchia” e rimodella alle radici il reparto tecnico della Ferrari.

 

 

– Al momento dell’“investitura”, quando sono diventato responsabile del reparto corse, mi sono trovato a lavorare con dei meccanici bravissimi, ma ancorati al passato. Un mondo che fino ad allora aveva messo le mani su automobili col motore anteriore: macchine che avevano una loro filosofia, un loro specifico modo di essere. Era difficile fare capire a questi uomini che tutto ciò che avevano vissuto prima, non era più attuale. Ne parlai con Ferrari, con Giberti e con tutti… e li convinsi piano piano che dovevamo cambiare. Non perché il loro modus operandi non fosse valido in sé ma perché non era più al passo coi tempi. Se lei va da un bravissimo battilastra che fa il suo lavoro con assoluta professionalità, sfornando delle automobili bellissime, con una loro identità e un loro peso specifico, capirà che è difficile traghettarlo verso il futuro. Noi volevamo introdurre le plastiche moderne… si figuri farlo con meccanici che venivano da questo tipo di mentalità! Ci avrebbero riso in faccia, e a ragione. Ecco perché ho iniziato a circondarmi di meccanici di 18, 23 anni. Forse è stato quello che ci ha permesso di diventare una squadra vincente. Perché avevamo dalla nostra dei giovani, pieni di volontà e di entusiasmo. In Ferrari si lavorava bene. L’atmosfera era frenetica ma serena.

 

 

Io ho giocato a basket per anni – facevo il player della squadra – e proprio lì, in ambito sportivo, avevo capito che, affinché una squadra funzioni, bisogna essere innanzitutto capaci di gestire le persone. In questo, ovviamente, mi ha aiutato anche il fatto di avere al mio fianco dei professionisti validi che mi hanno sempre supportato. Gente valida, tipo Rocchi, che disegnava principalmente motori, o Salvarani che disegnava telai. Doveva vederli disegnare! Se non arrivavano a essere veloci come un computer, poco ci mancava. A proposito, ora le racconto una storia…

– Durante la fase di transizione da Chiti si doveva andare alla 12 ore di Sebring– ero in carico da poco – ci siamo trovati ad avere a che fare con una macchina che Chiti aveva fatto nascere secondo le sue idee. Insomma, siamo a Modena che proviamo l’auto, prima che venga imbarcata, quando ci rendiamo conto che c’è un problema: non si riesce a cambiare! Gli ingranaggi che erano stati scelti avevano dei denti di agganciamento che sarebbero andati benissimo per una macchina diversa, che non girasse a quel regime, erano belli e raffinati ma non funzionavano. Nel nostro caso c’era poco da fare: quei denti erano troppi e con poco spazio. Insomma, si prova la macchina (eravamo con Lorenzo Bandini), la provano altri piloti e tutti confermano che no… non si riesce a cambiare o meglio, è possibile farlo solo facendo forza.“Si gratta”.

 

Lorenzo Bandini

 

Ero alle prime armi e già mi trovavo a gestire una bella gatta da pelare. Non ho avuto dubbi. “Sentite, così non si va a correre”. Ho detto “bisogna sfruttare i dieci giorni che abbiamo a disposizione”. Poi sono andato da Salvarani. L’unica cosa era fare degli ingranaggi brutti, volgari ma perfettamente funzionanti: i Denti Dog. Salvarani ha capito al volo e si è messo subito al tavolo da disegno con la sua matita e con un pacco di fogli lucidi. Man mano che disegnava e finiva un particolare, gli altri realizzavano il suo prodotto. Tutta l’officina era stata allertata (c’era anche mio padre!), tiravamo via dal tavolo la bozza appena finita e ci davamo da fare: è così che abbiamo rifatto tutti gli ingranaggi, uno ad uno. Abbiamo provato la macchina giusto il giorno prima che la imbarcassero sull’aereo… il cambio funzionava! Ce l’abbiamo fatta per un soffio. Il miracolo lo avevano fatto Salvarani e quelli che avevano costruito i pezzi facendo le ore piccole o rimanendo in piedi addirittura tutta la notte. Allora c’era un modo di affrontare le cose molto diverso da oggi. La gente arrivava al sacrificio personale, in particolare per una fabbrica come la Ferrari. C’era davvero gente che sapeva anche non andare a letto, io per primo. Pensi che una volta, in una Le Mans, siamo stati in piedi addirittura due giorni e mezzo. E’ capitato anche che dopo uno di questi tour de force mi trovassero addormentato sotto la doccia…
– Vita da accampamento, insomma.
– Sì, nel vero senso del termine. Ci si arrangiava come si poteva. Anche in modo molto creativo. Una volta per esempio, eravamo in Inghilterra con Franco Gozzi. Da mangiare ci davano dei panini strani, con la carne e la pasta dentro: cose che tutti si rifiutavano di mangiare tanto che alla fine è stato Gozzi stesso a lanciare l’idea: “E se ci facessimo da mangiare da soli?” Così abbiamo comprato un tegamone, del pomodoro, la pasta e ci siamo messi lì col saldatore, a far bollire l’acqua con la fiamma ossidrica. Insomma, è finita che sono arrivati lì anche quelli della Lotus! Quando siamo tornati, il Commendatore ha dato un’occhiata alle spese e si è reso subito conto che erano minime. “Cos’è successo?”, ci ha chiesto. Quando gli abbiamo raccontato come ci eravamo arrangiati, Enzo Ferrari si è infuriato: “Ma come! Davanti a tutta quella gente?”. Le volte successive ci ha permesso di noleggiare una roulotte per non farci vedere. Cosa tragica perché la roulotte ha preso fuoco! L’anno dopo abbiamo avuto il nostro primo camion della scuderia e Pasticcino; ‘il cuoco per antonomasia della Formula 1’, che oggi ha un ristorante, Da Pasticcino a Castelnuovo Rangone in provincia di Modena.

 

A cura di International Classic, scritto da Martina Fragale

Continua a seguire la storia Mauro Forghieri – Capitolo 4
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