Mario Andretti

Mario Andretti

Non sono ancora state inventate le parole per descrivere la soddisfazione della vittoria, sia essa in una grande corsa famosa, sia in una garetta. Hai vinto! Hai conquistato te stesso”.

Era il 1955 quando Mario Andretti salutava l’Italia per emigrare in America con la famiglia, in cerca di tranquillità dopo la guerra.

Qualche tempo prima gli Andretti erano a Lucca e Mario, allora tredicenne, aiutava in un garage in cui c’era un “bolide magico”, una Stanguellini Junior. Seggiolina e Biagini, titolari del garage, un giorno portarono Mario e Aldo, il fratello gemello, a veder passare la Mille Miglia. Attese il suo idolo, Ascari, e il colpo di fulmine fu immediato. In America lavorò presso un garage e nel fine settimana raggiungeva il vicino ovale dove infuriavano gli stock-cars. Mario e Aldo fondarono una società con azioni e arrivarono al traguardo acquistando una Hudson Hornet del 1948. Aldo smise di correre e Mario dieci anni dopo era una stella e vinse Indianapolis. Porta sempre al dito l’anello d’oro con la bandiera a scacchi, il simbolo dei titolati: di campionati americani ne ha vinti tre.

Un pilota completo, guidò in condizioni e su macchine differenti e la sua sensibilità si affinò sempre più. Il Re di Indianapolis debutta in F1 con la March, ma l’auto non è eccezionale, nel frattempo continua a correre per Ferrari nelle gare di durata. Nel 1971 disputerà sette gare in F1 per il Cavallino. La prima corsa a Kyalami, una vittoria e chiuse la stagione con dodici punti. Un 1972 ricco di soddisfazioni, con il compagno Ickx portò alla vittoria la Ferrari a Daytona, Sebring, Brands Hatch e Watkins Glen. Parnelli, Miletich e Andretti decisero di creare una squadra ambiziosa per puntare a Indianapolis e costruire una F1 americana.

Nel 1976 dalla doppia crisi, Parnelli e Lotus, iniziò un binomio fortunato: Lotus e Andretti. Un professionista totale, Mario, concentrato 24 ore al giorno sulle corse. Non cedeva mai, “Finché sei in pista, non importa se primo o ultimo, devi batterti”. Memorabili le sue battaglie con Scheckter, Lauda o con Watson… era il 1978 che, con l’imbattibile Lotus 79, la “wing car”, divenne campione del mondo.

Dopo risultati deludenti nel 1981 passò all’Alfa Romeo e chiuse la sua carriera in F1 nel 1982… ma non smise di correre!