Lamborghini Miura

Lamborghini Miura

La prima volta che ti ho vista

Quando l’ho vista per la prima volta da vicino, una Miura color corallo targata Roma, io abitavo ad Aprilia. Avevo 14 anni ed ero il più basso in classe. 1 metro e 60 scarsi – tanto da essermi meritato il nomignolo di Provolino, un pupazzo molto di moda a quel tempo – ciò nonostante, il tettuccio della vettura mi arrivava poco più su della cintola.
Il tizio alla guida pareva fosse sdraiato. Col motore al minimo accostò accanto al giornalaio di piazza, e per accontentare i numerosi curiosi sgassò un paio di volte. Li mandò in visibilio con quel fragore terrificante, e quando uscì dalla Miura, lo fece con una manovra acrobatica, quasi da contorsionista.

 

Out of this World

 

Gli pneumatici dall’enorme battistrada incutevano timore se confrontati con quelli della 500 che era l’auto più diffusa.
Lasciò aperta l’enorme portiera perché potessimo guardare l’interno che somigliava a quella che, nell’immaginario collettivo, in quegli anni di conquiste spaziali, doveva essere un’astronave.

 

 

Nel gruppetto di curiosi c’erano diverse ragazze, e una di loro, una bionda con una minigonna vertiginosa, si appoggiò con entrambe le mani vicino al montante del parabrezza e si piegò in avanti col busto.

Nel farlo la minigonna salì in alto e, lasciando vedere delle mutandine di pizzo nero, distolse per un secondo l’attenzione concentrata sulla belva, finché non arrivò a toccare il cristallo del parabrezza e ci impresse la sagoma delle labbra truccate con un rossetto color vermiglio.

 

 

L’applauso spontaneo per il bacio, per chi lo aveva dato e per chi lo aveva ricevuto, fece voltare il proprietario del bolide. Qualcuno sottovoce diceva che fosse Ray Lovelock, impegnato a magnificare le doti della vettura ad un conoscente. Lo mollò, si avvicinò alla portiera del passeggero e con un gesto galante la aprì, e invitò la bionda con l’altra mano ad accomodarsi. Lei non se lo fece ripetere. Mentre faceva la complicata contorsione per sedersi sulla bassissima poltrona, tutti lì potemmo ammirare le gambe splendide, fasciate nelle autoreggenti e nuovamente lo slip nero di pizzo. Lui, mentre circumnavigava il lungo cofano, strizzò l’occhio ed in fretta, si accomodò alla guida. Dopo le tre sgassate di rito, sterzò l’astronave di 180 gradi e, in men che non si dica sparì.

 

 

Autore: Massimo Migliorini