La mia prima corsa su una Ford Mustang

Ford Mustang - Pic by Jim Culp - Stephen Griswold
Pic by Jim Culp

 

Vi starete domandando “Ma questo americano non guida mai auto americane?” Ford Mustang, ecco la mia risposta… Nel 1966, Lo Sports Car Club of America, lanciò la sua prima serie di corse professionistiche, denominate Trans-Am. Erano composte da due classi, una per berline con cilindrata fino a 2000 cc e l’altra per berline con cilindrate superiori a 2000 cc.

L’idea era quella di coinvolgere i produttori e di creare interesse negli spettatori con duelli “ruota contro ruota”. La mia auto da corsa preferita era la monoposto, la forma di automobile più pura per un pilota, ma come al solito, mi divertivo a guidare qualsiasi tipo di auto, per fare esperienze diverse.

Avevo un amico a Berkeley, che un giorno mi chiamò e mi chiese se volessi partecipare con lui alla Trans-Am a Bryar Park, fuori da Concord, nel New Hampshire. Si trattava di una proposta particolarmente interessante, visto che tutto ciò che dovevo fare era fornire l’uso del mio Ford Ranchero come veicolo di traino senza dover sostenere altre spese. Lui aveva ordinato una nuova Ford Shelby Mustang R, una delle diciannove automobili costruite appositamente per la Trans-Am. L’automobile era ancora in costruzione, ma gli era stata promessa la consegna quindici giorni prima della gara, il tempo sufficiente per attraversare gli Stati Uniti e raggiungere Concord.

Avevo un altro caro amico che operava nel settore vinicolo e grazie a lui mi aggiudicai lo sponsor Weibel Wines della Napa Valley. Weibel produceva anche un vino simile allo Champagne e furono molto entusiasti di promuoverlo. La mia mente era imprevedibile e in loro omaggio, chiesi ad un artista locale di dipingere dei grappoli d’uva con il nome del vino sul cofano della Ford Mustang. Infine, aggiunsi anche “Power by Griswold” – Potenza di Griswold – perché prima di partire per il New Hampshire, avevo smontato il motore per controllarlo.

Con il Ford Ranchero, passai dalla Napa Valley per fare il pieno dei loro prodotti; volevo essere pronto e se le cose non avessero funzionato, avremmo avuto almeno del buon vino da bere. Peter partì da solo in auto ed io lo raggiunsi in aereo.

L’ultima volta che avevo visto Concord era stata quando frequentavo un collegio ed era da un bel po’ di anni che non mi recavo nell’est degli Stati Uniti, così decisi di chiamare mia madre per invitarla ad assistere alla corsa.

Lei decise di portare anche mia zia, così avevo un pubblico tutto per me. Le automobili che avevo guidato in precedenza erano molto più leggere e piccole, la Ford Mustang mi dava la sensazione di essere su un furgone con tanta potenza. Non fui particolarmente veloce e superai di poco le prestazioni del mio amico. Era difficile guidare un’auto come questa su un circuito stretto e tortuoso come quello di Bryar.

Dopo la sessione di prove stringemmo tante nuove amicizie, semplicemente riempiendo molti bicchieri e distribuendoli tra i concorrenti. Fummo molto benvoluti e Weibel trovò molti nuovi fan.
La gara si tenne la domenica ed estraemmo delle cannucce per decidere chi avrebbe effettuato la partenza: vinsi io e mi allacciai le cinture della Ford Mustang.

Era una giornata di agosto molto calda e non si può certo dire che fossi impaziente di partecipare alla corsa. Il calore iniziò a mostrare i primi effetti dopo circa 25 giri, quando i freni iniziarono a far bollire l’olio. Il termometro era quasi sul rosso: bollente!

Intorno al 50° giro, alla fine del rettilineo e proprio davanti a mia madre e a mia zia, il motore scoppiò. Alcune parti del motore schizzarono dal grappolo d’uva dipinto sul cofano!
La nostra gara era finita, ma ad essere sincero ne fui sollevato; guidare questa auto fu un duro lavoro ed avevo una scusa per fermarmi.

La gara fu vinta da un australiano, Allan Moffat, sulla sua Lotus Cortina: volò sul tracciato e circola la voce che la Ford lo ingaggiò il giorno dopo come loro pilota.
Il successo maggiore lo riscosse il vino, alla fine non ne rimase neanche una bottiglia sul mio Ranchero! Non sempre si vince, questa volta tornammo a Berkeley, portando con noi dei bellissimi ricordi.