Il cuore stregato dalla “Bellezza Necessaria”

Alfa Romeo 33 Stradale

Alfa Romeo 33 Stradale

Ammirando la linea morbida e slanciata, le curve mozzafiato e l’aspetto decisamente basso e compatto, mi verrebbe in mente tutto fuorché una signora di mezza età. Più facilmente il paragone cadrebbe su una bellissima ventenne tonificata da diete ipocaloriche e infinite sessioni di palestra, allo scopo di far voltare la testa ad ogni passante. Eppure, essendo stata svelata nel 1967, l’Alfa Romeo 33 Stradale ha 53 anni. Inutile dire che non li dimostra, a conferma della reputazione e del fascino di una delle più iconiche vetture mai costruite dall’Alfa Romeo. Annoverata puntualmente fra le auto più belle mai realizzate, la 33 Stradale rappresenta molto più di un semplice esercizio di stile, potendo anche contare su un telaio ed una meccanica incredibilmente all’avanguardia.

Presentata all’autodromo di Monza nel 1967, a contorno del Gran Premio d’Italia, la 33 era nata per sfruttare a pieno il considerevole investimento fatto dalla Casa del Portello con la Tipo 33, la vettura che doveva riconfermare la competitività dell’Alfa Romeo dopo il ritiro dalle gare nel 1951. Il marchio del Biscione ebbe la brillante idea di cucire la carrozzeria della 33 Stradale sopra una meccanica praticamente identica a quella della Tipo 33/2, che ebbe tanto successo nelle corse. Il risultato lasciava senza parole. L’Alfa Romeo riuscì ad unire una delle carrozzerie più magnetiche ed affascinanti del periodo – nonostante la spietata concorrenza di GT40, 365 Daytona e Miura – con un motore straordinario persino per gli standard odierni.

Il progetto ovviamente era stato realizzato grazie ai migliori personaggi in forza alla casa automobilistica, primo fra tutti Carlo Chiti, direttore all’epoca del reparto corse Alfa Romeo, l’Autodelta. Non a caso vicino al passaruota anteriore sfoggia con orgoglio il logo della casa fondata da Chiti e Chizzola. Il progettista decise di modificare leggermente il telaio della Tipo 33 allungandolo di 10 cm per una migliore abitabilità, mantenendo però i voluminosi elementi tubolari ad H che abbracciavano i serbatoi ed il telaietto anteriore, rinforzando con delle lamiere la parte relativa all’abitacolo. All’epoca un lavoro del genere sembrava più ispirato ad un mondo aeronautico che automobilistico, cosa in effetti vera: il telaio abbondava di materiali esotici, dal magnesio per le sezioni laterali al titanio per i collegamenti di rinforzo fino al peraluman, una lega di alluminio e magnesio utilizzata per il tunnel centrale. In pratica l’Alfa Romeo urlava al mondo (ed in particolare a Ferrari e Lamborghini) che ci sapeva fare con le Supercar, eccome!

Affiancati a Chiti c’erano altre due persone responsabili di tale capolavoro, il grande progettista Giuseppe Busso ed il designer Franco Scaglione. Busso decise di ammorbidire leggermente il propulsore da competizione, ottenendo ugualmente un gioiello d’alluminio e magnesio che non poteva che impressionare. Si trattava di un 8 cilindri a V di 90° aspirato e montato in posizione centrale di 1995 cc, capace di oltre 230 cv (contro i 270 della Tipo 33) all’eccezionale regime di 8800 giri. Monoblocco e testata erano in lega leggera, con due valvole per cilindro, doppio albero a camme in testa e la classica accensione a doppia candela; tutta questa potenza era trasmessa alle ruote posteriori tramite un cambio Colotti a sei rapporti. Un motore stradale aspirato, con una potenza specifica così elevata e una simile aggressività, era unico per l’epoca – un risultato simile è stato raggiunto decenni dopo da auto come la Honda S2000 o la Ferrari 458 Italia, decisamente aiutate dall’elettronica.

La maestria di Busso permetteva alla 33 di accelerare da 0 a 100 km/h in poco più di 5 secondi e raggiungere i 260 km/h di velocità massima. L’arduo compito di vestire il telaio futuristico di Chiti e la raffinata meccanica di Busso fu per l’appunto Franco Scaglione. Non oso immaginare come poté trasformare un semplice foglio bianco in quella fascinosa poesia su ruote che è la 33 Stradale, eppure ci riuscì. Appoggiandosi alla Carrozzeria Marazzi, Scaglione iniziò a drappeggiare i 50 esemplari previsti non senza complicazioni; la scarsa preparazione ed esperienza della manodopera della carrozzeria con l’alluminio lo vide costretto a seguire personalmente la realizzazione di ogni singolo esemplare.

Il risultato fu una linea di una bellezza e di una semplicità uniche, e dall’asciutto peso di 700 kg che contribuì non poco alle prestazioni incredibili della 33. Le innovative portiere diedrali ad ala di farfalla, i cerchi dorati forgiati in magnesio e gli interni spartani e corsaioli completavano la più desiderata opera d’arte del 1967. Un’opera d’arte però si sa, ha il suo prezzo. In anni dove una 365 Daytona costava poco più di 6 milioni di lire ed una Miura circa 8.000.000, la 33 Stradale venne proposta all’impensabile cifra di 9.750.000 lire, praticamente fuori da ogni fascia di mercato. A dire il vero la meccanica e le prestazioni eccelse, i materiali all’avanguardia e la carrozzeria che ti scioglieva il cuore facevano quasi sembrare il prezzo di listino adeguato, soprattutto visto che per quella somma potevi avere la possibilità di guidare una vettura molto simile a quella che correva a Le Mans. Avere un motore così spettacolare dietro le spalle con un sound che ti penetra le ossa non ha prezzo.

I 50 esemplari previsti rimasero un’utopia: l’elevatissimo prezzo, le difficoltà con la carrozzeria Marazzi e la buona dose di bravura necessarie per guidare la 33 fermarono la produzione a soli 18 esemplari. Di quei 18 solo 12 (più l’esemplare esposto al Museo di Arese) conservarono la carrozzeria originale di Scaglione venendo venduti a privati, mentre i restanti furono usati da diversi designer per realizzare concept come la Carabo di Bertone, la Iguana, la Navajo di Italdesign e la Cuneo di Pininfarina. Gli esemplari originali di Scaglione differiscono fra loro per minimi dettagli, come il tergicristallo incernierato in alto o in basso, le lenti anteriori con quattro o due fari e le frecce posizionate a lato o inglobate nei proiettori, rendendo molto difficile trovare una 33 identica ad un’altra. Se poi consideriamo il fatto che ogni elemento della carrozzeria è stato realizzato artigianalmente, la cosa si fa decisamente improbabile. Nel 1967, nonostante i pochi esemplari costruiti ed il prezzo da infarto, l’Alfa Romeo riuscì a dimostrare ampiamente di saper battagliare con i migliori produttori di supercar del momento, sia a livello di prestazioni sia a livello di presenza scenica e, per questo, la ringrazieremo sempre. La 33 Stradale è e rimarrà sempre una delle più audaci e meravigliose creazioni dell’Alfa Romeo, esempio di design e meccanica straordinari.

 

A cura di International Classic, scritto da Tommaso Ferrari